
	  
	  L’esposizione propone circa 20 opere dell’artista realizzate in legno e   bronzo. “Demetz non è uno psicologo infantile - secondo le parole di   Marco Meneguzzo - è uno scultore. I suoi bambini non sono bambini, sono   sculture di bambini. Perché allora la tentazione di parlare solo   dell’infanzia è così forte, così prevalente sul resto? Perché il   soggetto unico scelto dall’ artista è così simbolicamente potente e così   retoricamente gravido che tende a far dimenticare l’artificio che lo   mette in scena, così come una storia naturalmente commovente fa passare   in secondo piano i modi e i termini in cui viene narrata. L’infanzia   (non l’adolescenza, si badi), in fondo, è un tabù di cui non si può   parlare se non in termini retorici: è per questo che è un’età estranea,   indicibile, ineffabile”.
	   
	  Osservando da vicino le opere si nota che uno degli elementi più   importanti dal punto di vista formale, ideale, nell’opera di Gehard   Demetz (Bolzano, 1972) è la presenza di vuoti, la mancata coincidenza,   tra le varie parti sagomate che compongono l’opera. Le figure sono   complete, ma sono visivamente “disturbate” da questo assemblaggio   imperfetto, esattamente come avviene su uno schermo digitale quando   interviene un disturbo elettronico dei pixel. Per accentuare il senso di   non finito spesso il retro delle sculture è scavato, come se fossero   stati asportati dei pezzi di materiale, o fossero in attesa di essere   posizionati, in una sorta di costruzione a cubetti, proprio come quella   dei giochi da bambini.
 
Lo scultore racconta che è affascinato da una molteplicità di   atteggiamenti di bambini e adulti. Molti loro comportamenti sembrano   misteriosi, in parte indecifrabili, e indirizzano i suoi pensieri alla   continua ricerca di similitudini e confronti. “Mi ritrovo così con   appunti e bozzetti disegnati dappertutto, su vari foglietti, in tasca,   nei libri, nell’agenda. Costruisco e scolpisco la scultura partendo   direttamente dal disegno e spesso riprendo uno stesso pensiero scritto   per immaginare diversi personaggi. Osservando la foto delle miei   sculture mi rendo conto che la direzione di stile da me intrapresa ha   una chiara continuità di pensiero. Ma il bello è che anche i lavori   conclusi mi portano a continui ripensamenti e alla ricerca di soluzioni   sempre in evoluzione”.